Il calcio allo sbando, servo di un potere baro e truffaldino

pallone

di Marco Martone

Non fa rabbia e non stupisce tanto, il fatto che la Juventus in qualche modo l’abbia fatta franca, dopo aver truffato le carte, ingannato tifosi (i propri prima di tutto e poi quelli di tutte le altre squadre). Non avvilisce tanto il fatto che una squadra che, nella convinzione generale, spesso fallace, rappresenta il calcio italiano nel mondo, sia periodicamente al centro di controversie legali, scandali, sospetti e comportamenti poco leciti e che, il più delle volte ne esca come vittima, se non vincitrice. E non meraviglia neanche il ricorso allo strumento del patteggiamento, cui si appellano gli avvocati difensori da sempre, per lenire le ferite, accorciare i tempi, rendere meno traumatica la pena afflittiva nei confronti dei propri assistiti. Alla Juventus è stata offerta una via di fuga e i bianconeri si sono infilati, senza pensarci un attimo. Hanno fatto ciò che la legge, in qualche modo, gli ha consentito di fare. In barba ad anni di comportamenti poco regolari, sicuramente poco leali e sportivi, che stando alle inchieste portate avanti in questi mesi, hanno consentito alla società piemontese di vincere scudetti a ripetizione.  Sui termini del patteggiamento, poi, si può discutere per mesi senza trovare una logica o una verità assoluta. La pena pecuniaria di poco superiore a 700mila euro è una barzelletta, un solletico alle casse della Juve. Così come l’eventuale sospensione europea, che priverebbe la Juve (pensate un po’) della prestigiosissima Conference League.

Tutto questo però rappresenta l’aspetto meno grave e grottesco della situazione, anche perché neanche il più ottimista degli appassionati di calcio (quello vero) poteva immaginare uno scenario differente. Quelli che parlavano di retrocessione in serie B, di penalizzazione da scontare nel prossimo campionato, di pena esemplare, erano degli ingenui fessacchiotti, per dirla alla Totò. Oppure degli inguaribili ottimisti, che ancora credono che i valori dello sport abbiamo un senso e per questo vanno tutelati. L’assoluzione della Juve (perché di questo si tratta, in definitiva), era ampiamente prevedibile, così come è fondato il sospetto che qualsiasi altra società si fosse trovata nelle medesime condizioni, sarebbe stata trattata in maniera ben diversa, più severa. Esempi del recente passato lo dimostrano ampiamente. Il Napoli, tanto per restare in casa nostra, fu retrocesso in serie C per colpe forse anche minori, visto che la società azzurra non è mai stata quotata in Borsa. Eppure, dicevamo, l’aspetto più grave è un altro. Quello che appare insopportabile e inaccettabile sono le dichiarazioni del presidente della Figc Gravina, che ha avuto il coraggio o meglio la faccia tosta di definire il patteggiamento della Juventus “il risultato più bello del calcio italiano”, per ritrovare una “serenità” che in realtà il calcio, ha perduto per sempre. Un’offesa inaudita nei confronti di chi ancora ha voglia di seguirlo questo calcio italiano, malato e allo sbando. Incapace di andare ad una fase dei Mondiali da due edizioni e con una Nazionale costretta a chiamare oriundi e illustri sconosciuti per consentire al Ct Mancini di avere una rosa a disposizione per affrontare l’Inghilterra. Il risultato più bello del calcio italiano, caro Gravina, è l’Inter in finale di Champions, Roma e Fiorentina che si giocano una coppa europea o magari, ma forse questo è troppo per lei, il Napoli che vince uno scudetto così come lo ha vinto. E invece no! Ancora una volta il calcio italiano, nel suo aspetto “migliore” deve avere la Juventus come simbolo ed esempio da seguire. La Juve più derelitta, indebitata, allo sbando societario degli ultimi 30 anni definita come “il risultato più bello…”. Siamo al ridicolo. Eppure tutto questo non basta per far sollevare la reazione di direttori di giornali, editori e opinionisti. Tutti proni al potere dei grandi, genuflessi al Re Mida che torna a regnare. Poche voci fuori dal coro vengono zittite o ridicolizzate. E la giostra continua, fino ai prossimi scudetti, vinti più o meno con merito, con bilanci più o meno taroccati da quella squadra che falsando la competizione diventa “il risultato migliore” e con un presidente che dovrebbe avere la dignità di dimettersi. Quella sì che sarebbe una vittoria per il calcio italiano.