Referendum e Sovranità popolare

Le diatribe tra i vari esponenti hanno infarcito la dialettica di ingredienti spuri

di Fabio de Paulis

Con l’approssimarsi del referendum il dibattito che ne è scaturito sembra aver raggiunto livelli quasi parossistici, tante sono le opinioni e le convinzioni che inducono a votare si piuttosto che no. Sarebbe invece opportuno focalizzare un aspetto di non poca rilevanza, che è quello relativo alla conservazione del principio di sovranità popolare. Le diatribe tra i vari esponenti: politici, uomini delle istituzioni, intellettuali piuttosto che studiosi e costituzionalisti, hanno infarcito la dialettica di ingredienti spuri, pensando che l’utilizzo di svariate spezie possa rendere il prodotto finale ancor più saporito. Invece ciò che manca è proprio il sale della discussione, e cioè se la nostra democrazia sia pronta e quindi abbia l’aspirazione di cedere all’Europa, ovvero ai mercati, parte della propria sovranità. O addirittura tutta. E’ innegabile che questa riforma finirà per cedere ai mercati la sovranità del popolo italiano, portando a compimento un processo dove il capitale, avrà definitivamente vinto la cosiddetta “Lotta di classe”.

La nostra costituzione, sorta dopo l’esperienza fascista, aveva, anzi ha, recepito e attuato esperienze politico-sociali che la classe lavoratrice e le classi medie avevano molto faticosamente conquistato. Appare quindi inaccettabile rinunciare a combattere, dialetticamente parlando, per la salvezza di questo principio. Senza farsi distrarre dal subdolo nemico che solleva polveroni, agitando discussioni su argomenti sterili, oggi siamo chiamati a decidere se la politica abbia definitivamente abdicato in favore dei mercati. Dobbiamo decidere se coloro che ci rappresentano in Parlamento: Camera e Senato, siano ancora in grado di portare in seno per risolverli, i nostri problemi. Viceversa quel processo ineluttabile, profetizzato da JP Morgan, la più grande banca del mondo si sarà compiuto anche in Italia…. “Le Costituzioni e i sistemi politici dei Paesi della periferia meridionale, costruiti in seguito alla caduta del fascismo, hanno caratteristiche che non appaiono funzionali ad un’ulteriore integrazione della regione [nel mercato globale]. […] All’inizio della crisi si era generalmente pensato che i problemi strutturali dei Paesi europei fossero soprattutto di natura economica. Ma, con l’evoluzione della crisi, è diventato evidente che ci sono problemi inveterati nella periferia [europea], che dal nostro punto di vista devono cambiare, se l’Unione Europea vuole, in prospettiva, funzionare adeguatamente. Queste Costituzioni tendono a mostrare una forte influenza socialista, che riflette la forza politica che le sinistre conquistarono dopo la sconfitta del fascismo. Questi sistemi politici periferici mostrano, in genere, le seguenti caratteristiche: governi deboli; stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori […] e il diritto di protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare lo status quo. I punti deboli di questi sistemi sono stati rivelati dalla crisi. […] Ma qualcosa sta cambiando: il test chiave avverrà l’anno prossimo in Italia, dove il nuovo governo ha chiaramente l’opportunità di impegnarsi in importanti riforme politiche”.

Quindi, domenica 4 dicembre si voterà per conservare il principio della politica, in luogo della logica dei mercati, nell’organizzazione della nostra vita; della resa della nostra sovranità in luogo di una sovranità sovranazionale; di accettare che principi quali: l’uguaglianza e la centralità della persona umana, siano divenuti oggi drammaticamente desueti. Si voterà perché la politica italiana, quella di sinistra, non ha saputo reggere all’impatto del cambiamento o addirittura non se ne sia neanche accorta. Si voterà forse, per la fine della sinistra.