“Il romanzo dei miei spiriti”, un grande affresco sul Sud devastato e dileggiato

(di Lino Zaccaria)

“Il romanzo dei miei spiriti” non è un pamphlet, tutt’altro. Un robusto impianto di 220 pagine, che si legge però tutto d’un fiato. Anta e Gerda sono due nomi di fantasia dietro i quali si nascondono le autrici (due sorelle) di questo avvincente romanzo che si snoda dalla fine del Regno delle due Sicilie ai giorni nostri, passando per le due guerre mondiali. E’ ambientato tra Olevano sul Tusciano e Battipaglia, ma spazia attraverso le storie delle vite dei protagonisti dalla Campania alla Sicilia, alla Calabria, al Nord e al Sud America, con qualche accenno persino all’Australia.

In realtà è un grande affresco sul Sud “devastato e dileggiato” che si dipana in un caleidoscopio di personaggi, tutti risalenti a pochi ceppi familiari originari, tratteggiati con sapente carica narrativa. Sulle biografie autodescritte dai singoli si intrecciano i riferimenti storici che risalgono, appunto, al regno borbonico e al suo crepuscolo, alla successiva fase del brigantaggio e soprattutto, ed è il piatto forte della narrazione, al fenomeno dell’emigrazione, che attraversò tutto il Meridione, ridotto allo stremo dalla vorace rapineria sabauda che spogliò l’ex regno di tutte le sue ricchezze e trasferì al Nord le aziende rinomate e produttive (che diedero poi luogo alle fortune del triangolo industriale).

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Questo mescolare storie familiari e capitoli di storia vera è un filone non nuovo nella nostra letteratura. Ma per fermarci ad un tutto sommato illustre e recente riferimento ci piace accostare il “Romanzo dei miei spiriti” di Anta e Gerda al mastodontico e fortunato “Un cappello pieno di ciliegie” di Oriana Fallaci, uscito postumo e che, attraverso la ricostruzione, cui la giornalista aveva in pratica lavorato tutta la vita, della sua storia familiare si finisce con  il tratteggiare anche tutti i periodi storici che scandiscono quelle vite.

Perché “romanzo dei miei spiriti”? La risposta è nella controcopertina: sono gli antenati delle autrici che si raccontano ciascuno negli anni e nell’ambiente in cui è vissuto, “ruscelli che confluiscono ad ingrossare il fiume della Storia, esperienze singole che si aggiungono e si sovrappongono a formare coscienza interiore, elica in espansione che contribuisce alla costruzione di Memoria collettiva”. Le autrici sono ricorse all’anonimato perché molti dei personaggi descritti nel libro sono viventi e facilmente identificabili.

E’ difficile indicare in particolare qualcuno dei protagonisti. A modo loro tutti recitano un ruolo primario nell’economia del racconto e contribuiscono a renderlo appassionante, svelando frammenti di vita che pur attraverso ben sei generazioni seguono un percorso simile, fatto di sacrifici, di stenti, di riscatto sociale, di ferrea volontà di combattere contro un tempo arido, in cui conquiste, guerre, dilapidazioni e congiunture naturali si opponevano ad un ordinato sviluppo sociale. Val la pena, però, di spendere qualche parola in più per la “troupe di Cincinnati”, la cittadina dell’Ohio dove finisce uno dei protagonisti del racconto che mette radici con una barberia e richiama dal Salernitano una nutrita schiera di parenti. E’ il classico repertorio del fenomeno migratorio dell’epoca, quando l’America che aveva seppellito le sue divisioni ed era uscita dall’apartheid, attendeva il contributo delle braccia dei nostri connazionali per decollare definitivamente verso l’egemonia economica mondiale. Sono pagine che si divorano, scritte con stile incalzante e frutto di una laboriosa ricerca, che si evidenzia anche dai ringraziamenti finali.

Edito da Albatros, il “Romanzo dei miei spiriti” ha già riscosso lusinghieri apprezzamenti dalla critica, che ne confermano la bontà di intenti e di scrittura. Basta leggerlo per rendersene conto.