Antonio Ligabue alla Cappella Palatina del Castel Nuovo

La presentazione della rassegna nella Sala della Loggia del Maschio Angioino

E’ stata presentata stamattina (martedì 10 ottobre), nella Sala della Loggia del Maschio Angioino di Napoli, la mostra “Antonio Ligabue”, che sarà ospitata da mercoledì 11 ottobre a domenica 28 gennaio nella Cappella Palatina di Castel Nuovo. Attraverso oltre ottanta opere, di cui cinquantadue oli, sette sculture in bronzo, una sezione dedicata alla produzione grafica con otto disegni e quattro incisioni e, una sezione introduttiva sulla sua incredibile vicenda umana, la grande esposizione monografica traccia un excursus storico e critico sull’attualità dell’opera di Ligabue, che rappresenta ancora oggi una delle punte più interessanti dell’arte del Novecento.

La mostra, promossa dal Comune di Napoli – Assessorato alla Cultura e al Turismo, con la collaborazione della Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri e con l’organizzazione generale di C.O.R Creare Organizzare Realizzare, è curata da Sandro Parmiggiani e Sergio Negri, massimi esperti dell’opera dell’artista.

“Abbiamo destinato la Cappella Palatina del Castello a ospitare esposizioni importanti – ha affermato Nino Daniele, assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli – decidendo di portare all’interno del Museo Civico grandi esperienze artistiche per offrire a queste una sede degna del loro rilievo e, contemporaneamente, di proporre il Castel Nuovo, con le sue esposizioni permanenti, con le sue straordinarie architetture, con la suggestione dei suoi percorsi e anche con la bellezza delle esposizioni temporanee, come uno dei luoghi centrali della vita culturale napoletana. Vorrei aggiungere, oltrepassando timidamente i limiti di una presentazione istituzionale, che mi sento emozionato nel presentare a Napoli le opere di un artista capace di manifestare in ognuna una così grande forza espressiva”.

“L’esposizione offre l’irripetibile occasione per conoscere l’opera di un grande Maestro ed è destinata a lasciare un preciso segno nel ricco panorama delle manifestazioni a Napoli dell’autunno 2017 – ha dichiarato Alessandro Nicosia, presidente di C.O.R Creare Organizzare Realizzare –  é straordinario osservare, come le scelte e l’orientamento culturale di Ligabue, rivelino un’attenzione speciale per la vita e per la verità dei sentimenti. Dipingere qualcosa significa possederla, appropriarsene o almeno cercarne il possesso. Ligabue sembra dipingere per possedere, lui che era privo di tutto”.

“Sono molto orgoglioso di questa mostra, Napoli è una delle capitali dell’avanguardia artistica. Ligabue è un personaggio emblema di chi sa resistere e si riscatta attraverso la pittura – ha spiegato il curatore Sandro Parmiggiani – per la sua storia potremmo definirlo un esiliato: la sua unica patria è stata l’arte, che gli ha permesso di oltrepassare i suoi limiti. Ligabue sentiva un’oscura vicinanza agli animali, come se tra lui e loro potesse esserci una lingua comune, attraverso la quale riuscire a intendersi”.

“Il caso Ligabue va avanti.  Ligabue esordisce come pittore primitivo, ingenuo, qualcuno lo ha definito naif – ha raccontato Sergio Negri – io credo sia un errore: basta dare uno sguardo al suo curriculum, all’evoluzione della sua opera, che da una fase iniziale un po’ incerta man mano cresce, fino a diventare quello che oggi possiamo ammirare qui. Ligabue non è un artista  impreparato, o incolto, come sino a pochi anni fa si voleva far credere, ma un autentico pittore autodidatta, dotato di abilissimo talento creativo, da inquadrare tra quei pittori che, a un certo punto del loro excursus artistico, sentono il bisogno di guardarsi dentro al fine di dare a ogni immagine dipinta un profondo significato di sofferenza interiore”.

La mostra
La rassegna monografica “Antonio Ligabue” intende far conoscere i diversi esiti dell’opera dell’artista, nel corso della sua attività (dagli anni Venti al 1962), declinati nelle diverse tecniche attraverso le quali Ligabue si è espresso. La mostra, anche attraverso le scelte di allestimento, rivisita lo sviluppo cronologico (suddiviso in tre periodi, sulla base dello schema interpretativo messo a punto da Sergio Negri) e lo scavo nei motivi cui si dedicò: gli animali esotici e feroci, impegnati in una perenne contesa per la loro sopravvivenza, ma anche quelli vicini all’uomo nella vita domestica e nel lavoro dei campi. Ligabue studiava accuratamente l’anatomia degli animali che rappresentava e le posture tipiche assunte nelle fasi della caccia o del lavoro, desunte dall’osservazione diretta e da varie fonti iconografiche (le figurine Liebig, “La vita degli animali” di Brehm, la frequentazione dei Musei Civici di Reggio Emilia); reinventa il semplice dato di partenza attraverso una pittura in cui si fondono visionarietà espressiva (sia nelle forme che nel colore) e il ricorso a elementi puramente decorativi (i mantelli degli animali, la vegetazione, le carte da parati negli interni, i tessuti delle giacche). Va rimarcato che in molti dei suoi paesaggi padani irrompono, sullo sfondo, raffigurazioni assolutamente reali dei castelli e delle case della natia Svizzera, immagini di quelle radici che tenacemente conservava nella sua memoria. Gli straordinari autoritratti, infine, rappresentano un’orgogliosa dichiarazione del suo valore di artista e della sua identità di persona spesso dileggiata e irrisa – si può affermare che Ligabue visse come “straniero in terra straniera” – e l’impietosa descrizione dei tratti del suo volto, segnati da sentimenti di solitudine e disagio esistenziale, e dal costante presagio dell’esito finale.