Carissime sorelle e fratelli,
le parole del Salmo che Papa Leone ci consegna quest’anno per la Giornata dei Poveri – «Tu, mio Signore, la mia speranza» – ci raggiungono come un soffio di fiducia dentro un tempo segnato dalla paura, dal sospetto e da una crescente indifferenza. Sono parole che nascono non da chi ha tutto, ma da chi ha attraversato il dolore. Sono parole pronunciate da chi ha sperimentato la perdita e tuttavia non ha smesso di credere. Sono parole povere, ma proprio per questo vere: come il pane spezzato, come il respiro di chi, pur ferito, continua a sperare.
Oggi è importante per me ricordare a tutti noi che il povero non è solo colui che manca del necessario, ma colui che vive l’esperienza del limite, della precarietà, della dipendenza da altri. E in questo senso siamo tutti poveri. Tutti, prima o poi, scopriamo di non bastarci. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano. Ed è da questa consapevolezza che possono nascere miracoli inattesi: perché il bisogno può diventare incontro, e la mancanza si può trasformare in comunione.
La speranza non è un sentimento ingenuo, ma un atto di resistenza. È la forza di chi, pur avendo conosciuto “molte angosce e sventure” non si lascia vincere dal male. È la fiducia di chi ha visto crollare le proprie sicurezze, ma non ha lasciato che il cuore crollasse con esse. È la speranza di chi continua a dire “Tu, Signore, sei la mia roccia”, anche quando tutto il resto sembra franare.
Fratelli e sorelle, i poveri sono i veri maestri di questa speranza. Loro, più di chiunque altro, ci insegnano che la vita non è mai solo ciò che possediamo. Che la dignità non si misura con la ricchezza, ma con la capacità di amare. Che la forza non consiste nel dominare, ma nel continuare a credere in nuove possibilità di vita anche quando ci si sente avvolti da ferite dolorose. Chi vive ogni giorno nella precarietà e tuttavia non perde il sorriso, chi continua a fidarsi della vita anche quando ha poco, chi prega senza nulla chiedere per sé: ecco i veri testimoni del Vangelo.
Napoli conosce questa speranza. La vede ogni mattina nelle strade, nei mercati, nei quartieri popolari, nelle famiglie che condividono il poco che hanno, nei volontari che non fanno rumore, nei medici di strada, nei preti che aprono le porte agli ultimi, nei giovani che portano un pasto caldo e un sorriso nei dormitori all’addiaccio in un vicolo come in una stazione. Questa è la politica della speranza: la politica del Vangelo, che non si fonda sul calcolo, ma sulla fiducia; che non promette miracoli, ma costruisce fraternità.
Il Papa ci ricorda che la povertà non è soltanto una condizione sociale, ma anche una vocazione spirituale. Non possiamo dimenticare che la più grande povertà è non conoscere Dio, non sentire più il bisogno di Lui, illudersi di bastare a sé stessi. È la povertà dei cuori indifferenti, dei pensieri chiusi, delle mani che non si aprono mai. E tuttavia, proprio dentro questa povertà, Dio si lascia trovare: perché la nostra miseria diventa il suo luogo di incontro, la nostra mancanza diventa il suo spazio di grazia.
Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di speranza solida, non di illusioni.
Abbiamo bisogno di un’àncora che tenga ferma la nave anche nella tempesta.
Quell’àncora è la fede che si fa carità: la fiducia in Dio che diventa servizio al fratello.
Perché non c’è fede senza amore, e non c’è amore senza prossimità. Vorrei allora che questa Giornata dei Poveri fosse per tutta la nostra Chiesa napoletana un esame di coscienza. Non basta dare: bisogna condividere. Non basta soccorrere: bisogna ascoltare. Non basta commuoversi: bisogna muoversi.
La povertà non si combatte solo con le iniziative, ma con le relazioni. E non si guarisce solo distribuendo beni, ma restituendo dignità. Le nostre mense, le nostre case famiglia, le comunità educative, le realtà di accoglienza che fioriscono nei quartieri della città sono segni concreti di questa speranza. Ma ogni segno ha bisogno di un cuore che lo abiti, di una fede che lo sostenga, di una comunità che lo riconosca come parte essenziale della propria missione. Non c’è Chiesa senza i poveri. Non c’è Eucaristia che non conduca al servizio. Non c’è adorazione che non si pieghi davanti al fratello ferito.
Napoli, la nostra città, è un porto dove arrivano tante barche sfinite. Alcune portano il dolore, altre la rabbia, altre ancora la nostalgia. Ma tutte chiedono approdo, tutte cercano una riva. E noi, come Chiesa napoletana, siamo chiamati a essere quella riva: un luogo dove si può finalmente respirare, dove la speranza torna a germogliare, dove chi è perduto può ritrovare se stesso.
Non dimentichiamo: aiutare il povero non è solo un atto di carità, ma di giustizia.
Ogni uomo ha diritto alla casa, al lavoro, alla salute, all’istruzione.
Ogni donna ha diritto alla libertà e al rispetto.
Ogni bambino ha diritto al gioco, al pane e alla tenerezza.
Quando uno solo di questi diritti viene negato, la speranza si ferisce; e la nostra fede perde credibilità.
Per questo, come ci ricorda Papa Leone, la speranza deve diventare impegno. Impegno civile, impegno sociale, impegno educativo. Non possiamo attendere che le povertà si risolvano da sole: siamo noi a doverle affrontare, a denunciarne le cause, a costruire percorsi di liberazione. Perché il Vangelo non ci chiede di essere spettatori, ma artigiani. Sogniamo insieme e costruiamo sempre più una Chiesa di Napoli povera e per i poveri, ma anche ricca di passione, creativa nella carità, coraggiosa nella denuncia. Una Chiesa che cammina per le strade; che non ha paura di sporcarsi le mani, perché sa che solo chi tocca la carne ferita del mondo può riconoscere davvero il volto di Dio.
Fratelli e sorelle, non lasciamoci rubare la speranza. Ce lo ripeteva spesso Papa Francesco. Anche quando sembra tutto perduto, Dio continua a scrivere storie di risurrezione. Anche dentro le macerie della vita, può nascere un germoglio. Anche nelle notti più lunghe, la sua luce non si spegne. Per questo vi invito oggi ad affidare la nostra città e i suoi poveri a Maria, Madre della Speranza, Madre dei Poveri. Ci insegni Lei a fidarci di Dio anche quando non comprendiamo tutto, a dire “sì” anche quando il cuore trema. E insieme a lei, in questo ultimo tratto del cammino giubilare, sussurriamo con fede e con tenerezza: «Tu, mio Signore, la mia speranza: in te ho creduto, e non sarò mai deluso.»
† don Mimmo


