Storica pronuncia del Tar per cinque comuni della Campania

Il ricorso di alcuni paesi dell'Asmel travolge la legge Calderoli sulle unioni coatte

Nelle motivazioni dei giudici amministrativi ci sono ben nove articoli della Costituzione potenzialmente violati dalla legge. Una grande vittoria della battaglia giudiziaria dell’associazione che stoppa le norme che dopo la proroga dell’attuale governo sarebbero entrate in vigore a fine 2017

Ben nove articoli della Costituzione violati in un solo articolo legge. Sono probabilmente la testimonianza di un record e sicuramente un duro colpo, forse definitivo, alla ormai celebre legge Calderoli (decreto legge n. 78 del 2010 convertito in legge n. 122 del 2010) sull’accorpamento coatto dei piccoli comuni (con popolazioni inferiori ai 5mila abitanti) le motivazioni dell’ordinanza del Tar del Lazio che sospende la circolare ministeriale applicativa del 12 gennaio 2015 e “dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale” dell’art. 14 di quella legge per contrasto con gli art. 3, 5, 77, 95, 97, 114, 117, 119 e 133 della Costituzione italiana.

La battaglia giudiziaria era iniziata quasi due anni fa, nel marzo del 2015, su iniziativa dell’Asmel, l’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, che raggruppa oltre 2200 Comuni in tutt’Italia e che si era costituita in giudizio come espressione esponenziale dei 5700 comuni italiani a rischio accorpamento, affiancando nel ricorso al Tar Campania i comuni di Liveri (NA), Dragoni (CE), Baia e Latina (CE), Buonalbergo (BN) e Teora (AV).

“Sono state accolte in pieno tutte le nostre argomentazioni – evidenzia con orgoglio, Francesco Pinto, segretario generale di Asmel – ed in particolare il Tar ha sottolineato non solo la lesione del principio di autonomia degli enti locali (ribandendo anche la sua tutela sovrastatale con riferimento all’art. 3 della Carta Europea dell’autonomia locale recepita nella nostra Costituzione), ma anche, come avevamo più volte affermato, la lesione del principio di ragionevolezza, per il quale gli atti aventi valore di legge devono essere sempre adeguati o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore”. In questo caso, infatti, il decreto Calderoli fu approvato nell’ambito delle politiche di spending review, varate dall’ultimo governo Berlusconi e come sottolinea Pinto “tutti i governi che si sono susseguiti, hanno confermato l’obbligo di accorpamento, sia pure con marginali modifiche, fino all’attuale governo che ne ha prorogato i termini al 31 dicembre 2017, nonostante Asmel avesse ampiamente documentato con numerosi studi statistici che il costo pro-capite dei Municipi delle piccole realtà territoriali è generalmente inferiore a quello dei Comuni più grandi”

Le ragioni di tanta determinazione dei governi anche di diversa appartenenza politica, secondo Pinto, “si spiegano con il deciso sostegno alla legge dell’ANCI, la principale associazione dei Comuni italiani ed unico interlocutore dei governi di ogni colore”. Fin dal 2009, ricorda Pinto “ANCI ha sostenuto la necessità dell’accorpamento coatto, vedendosi presa in parola poi nel maggio 2010 dallo “statista” Calderoli ed ha costantemente mantenuto il punto, pur con spregiudicati aggiustamenti successivi fino al paradosso della proposta dell’allora presidente Fassino (settembre 2015) che si era spinto ad affermare la necessità di accorpare ancora di più per arrivare all’azzeramento dei Comuni fino a 15.000 abitanti, senza accorgersi che essi rappresentano il 90% dei propri associati”. Successivamente, spiega Pinto “ANCI ha varato l’ultima trovata: accorpare tutti, nessuno escluso, attraverso la definizione di improbabili aree vaste con la politica del bastone e della carota. Chi si adegua godrà di incentivi, per chi resiste si procederà con i commissari straordinari.  Su come trovare tanti soldi per gli incentivi, nessuna parola. È chiaro, che con una coperta ormai tanto corta, più soldi a chi si adegua comportano tagli per i renitenti”.