L’accusa è pesante e infamante, di quelle che (dovrebbero) far tremare ogni buon politico, almeno quelli che dicono di battersi, da sempre, per la legalità e la trasparenza. Corruzione e concorso in rivelazione di atti coperti dal segreto. Questo è quanto la procura di Roma ha imputato al governatore della Campania, Vincenzo De Luca, scatenando un terremoto giudiziario e politico che sta scuotendo la sede della giunta regionale della Campania. Una vicenda che ripropone il nome della Campania e di Napoli, al centro delle polemiche e della mala-politica. Soltanto qualche giorno fa le dichiarazioni del presentatore televisivo, Massimo Giletti, contro la città e il modo in cui il territorio è gestito dai politici locali, aveva scatenato un vero e proprio putiferio. Adesso a finire sul banco degli imputati è il presidente della Campania, il sindaco (di Salerno) sceriffo, accusato di aver corrotto il giudice Anna Scognamiglio e l’ex capo segreteria, Carmelo Mastursi, nell’ambito della vicenda legata all’applicazione della legge Severino, che prevedeva la sua sospensione dalla carica per una condanna a un anno per abuso d’ufficio a Salerno. De Luca ha rigettato le accuse nel corso di una conferenza stampa, rivendicando la sua «totale estraneità a qualunque condotta meno che corretta». Giorni caldi attendono i palazzi del potere, regionale e nazionale. Quello che appare evidente è che l’ennesimo scandalo, se confermato dalle indagini, mortifica e umilia le aspettative dei cittadini (se ancora ce ne sono), che si ostinano a credere nella politica e che ai rifugiano, di volta in volta, nel regnante di turno, per sperare che le cose, finalmente, possano cambiare.
Marco Martone