Cuore, studio campano rivoluziona standard cura

Il team di ricerca coordinato dal federiciano Giovanni Esposito

 

Un nuovo studio italiano rivoluziona lo standard di cura dei pazienti che hanno subito un’angioplastica coronarica, dimostrando sicurezza ed efficacia di un approccio farmacologico personalizzato. Il team di ricerca tutto campano, coordinato dal prof. Giovanni Esposito, Direttore del DAI di Scienze Cardiovascolari, Diagnostica per Immagini e Rete Tempo Dipendente delle Emergenze Cardiovascolari dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II e Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università federiciana, ha dimostrato che la terapia antiaggregante doppia (DAPT), che di solito viene prescritta per 12 mesi, è più efficace se somministrata “su misura” per un periodo che può variare dai 3 ai 24 mesi. I risultati dello studio PARTHENOPE sono stati pubblicati sul Journal of the American College of Cardiology, insieme a un editoriale che ne sottolinea il valore e le implicazioni cliniche. Il lavoro è stato discusso di recente anche in occasione del meeting annuale dell’European Society of Cardiology (ESC), che si è tenuto a Madrid ed è stato presentato dal prof. Raffaele Piccolo, responsabile del Programma di Trattamento percutaneo della malattia coronarica acuta e cronica e direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli.

«La DAPT è un trattamento farmacologico che combina due farmaci antiaggreganti piastrinici, solitamente aspirina e un inibitore del recettore P2Y12 – spiega il prof. Esposito – viene prescritta ai pazienti che hanno subito un’angioplastica coronarica, una procedura mininvasiva che serve a ripristinare il flusso sanguigno al cuore, dilatando le arterie coronarie ristrette o ostruite dalla placca aterosclerotica. Si ricorre alla DAPT dopo l’intervento per prevenire la formazione di coaguli di sangue che potrebbero ostruire nuovamente i vasi sanguigni. Generalmente, nella stragrande maggioranza dei pazienti la durata di questa terapia è di 12 mesi. Lo studio PARTHENOPE mette in discussione questa strategia di cura, dimostrando l’efficacia di un approccio personalizzato».

Lo studio, che ha coinvolto oltre 2.100 pazienti, è il primo randomizzato che ha confrontato i due approcci: da un lato la strategia standard, cioè la DAPT per 12 mesi, indipendentemente dalle condizioni del paziente; dall’altro una strategia personalizzata, in cui la durata della DAPT è stata adattata in base al “punteggio DAPT” del paziente e alla sua presentazione clinica (sindrome coronarica acuta o cronica). Il “punteggio DAPT” (Dual Antiplatelet Therapy Score) è uno strumento clinico che valuta il rapporto rischio-beneficio di continuare la DAPT per un periodo prolungato, generalmente oltre i 12 mesi dopo l’impianto dello stent.

«I risultati del nostro lavoro sono stati sorprendenti – sottolinea Esposito – la strategia personalizzata ha portato a una riduzione del 20% del rischio di eventi avversi clinici netti (NACE), come morte, infarto miocardico, ictus o sanguinamento grave in un periodo di due anni. Il beneficio principale è stato una riduzione degli infarti del miocardio e delle rivascolarizzazioni urgenti, senza un aumento del rischio di sanguinamento».

I ricercatori hanno quindi concluso che, in una popolazione eterogenea di pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica, un approccio personalizzato alla durata della DAPT offre un beneficio clinico netto superiore rispetto all’approccio standard.

«Questo risultato segna un traguardo importante per la nostra Azienda Ospedaliera Universitaria. Il forte legame tra ricerca, assistenza e formazione arricchisce professionisti, ricercatori e pazienti, permettendoci di offrire cure di eccellenza e di produrre evidenze scientifiche di altissimo livello, contribuendo al progresso scientifico. Lo studio rappresenta un passo avanti nelle scienze cardiovascolari, puntando l’attenzione sull’efficacia di terapie mirate alle esigenze dei singoli pazienti verso una medicina sempre più personalizzata», sottolinea Elvira Bianco Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II.